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20 Giugno, 2024

L’UE ha da tempo deciso di interpretare il ruolo di front runner nell’adozione di politiche concrete per la sostenibilità.

La direttiva europea denominata “CSRD” (Corporate Sustainability Reporting Directive) è un nuovo e decisivo passo in questa direzione: è bene prendere familiarità presto con questo acronimo, perché molte aziende italiane ne saranno – direttamente o indirettamente – influenzate.

Cos’è la CSRD?

La CSRD è una direttiva europea: ogni stato dell’Unione Europea è vincolato ad emanare leggi che permettano di ottenerne i risultati. Quindi, tutte le aziende italiane dovranno – per legge – allinearsi alla direttiva CSRD, seppure in tempi diversi.

Quali sono gli obiettivi della CSRD?

La direttiva ha lo scopo di rendere le aziende più sostenibili. Non potendo imporre la sostenibilità per legge, la direttiva utilizza l’obbligo di rendicontazione come strumento per rendere più trasparenti le politiche e le performance delle aziende, rispetto a questo ambito.

Cosa bisogna fare, quindi?

Le aziende sono chiamate ad adottare una struttura standard e un processo strutturato per il reporting delle proprie iniziative e performance di sostenibilità. Queste saranno riportate in un documento denominato “Bilancio di sostenibilità”. Il parallelo con il bilancio civilistico non è improprio: come questo, ha lo scopo di informare in maniera codificata e non equivocabile le performance economiche e finanziare di un’organizzazione, a vantaggio di tutti gli stakeholder.

A chi si applica? Da quando?

I nuovi obblighi UE di trasparenza sulla sostenibilità si applicheranno progressivamente a quasi 50.000 aziende, con tempi diversi in base a criteri essenzialmente dimensionali.

Dal 1° gennaio 2024: grandi imprese che costituiscono enti di interesse pubblico, già soggette alla Direttiva sulla Dichiarazione Non Finanziaria (Non Financial Reporting Directive – NFRD), che alla data di chiusura del bilancio, anche su base consolidata, superano il numero medio di 500 dipendenti. Le informazioni dovranno essere rendicontate e quindi pubblicate nel 2025 con riferimento al 2024.

Dal 1° gennaio 2025: grandi imprese non ancora soggette alla NFRD, ossia quelle che, alla data di chiusura del bilancio, anche su base consolidata, superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti:

a) totale dello stato patrimoniale: 25.000.000 euro;

b) ricavi netti delle vendite e prestazioni: 50.000.000 euro;

c) numero medio dei dipendenti occupati durante l’esercizio: 250.

Le informazioni dovranno essere rendicontate e quindi pubblicate nel 2026 con riferimento al 2025.

Dal 1° gennaio 2026: piccole e medie imprese quotate, ad esclusione delle microimprese, cioè quelle che alla data di chiusura del bilancio non superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti:

a) totale dello stato patrimoniale: 20.000.000 euro;

b) ricavi netti delle vendite e prestazioni: 40.000.000 euro;

c) numero medio dei dipendenti occupati durante l’esercizio: 250.

In pratica, altra carta?

La risposta a questa domanda dipende dalla maturità gestionale del management, più che dalla norma in sé. La definizione e l’implementazione di una strategia sostenibile sono alla base della possibilità di prosperare nel tempo, ma questo non può essere imposto per legge. L’obbligo di trasparenza costituisce una garanzia per gli stakeholder e uno strumento per indurre comportamenti virtuosi. Ridurre questo processo alla mera stesura di un documento è, a tutti gli effetti, una minaccia per il valore dell’azienda. E un’occasione persa.

Perché un professionista di Supply Chain deve essere esperto di CSRD (almeno un po’)?

Gran parte della sostenibilità di un’organizzazione si gioca nella sua filiera, ma chi lavora in Supply Chain, spesso, non se ne rende conto. Nella scelta di un fornitore, di una modalità di trasporto, di una politica di inventory management o di un network design, la bottom line è l’unica variabile che conta, mentre altri aspetti – quali quelli ambientali e sociali – sono messi in secondo piano, se non completamente ignorati. Il peso relativo della Supply Chain rispetto alle performance di sostenibilità è, nella quasi totalità dei casi, decisivo. Per questo non possiamo sottrarci alle nostre più ampie responsabilità, prima ancora che agli obblighi dalla CSRD.

Ma chi lavora in una piccola azienda, può rimandare?

Se l’approccio alla norma è “burocratico”, la timeline che conta è quella di applicazione della CSRD per l’azienda specifica. È necessario però tener presente che, per chi lavora in un contesto B2B, le performance di sostenibilità potrebbero presto diventare un order winner (se non un order qualifier): sempre più aziende, in particolare le grandi, dovranno redigere il bilancio di sostenibilità e riportare, insieme alle proprie performance, anche quelle dei loro fornitori. Per chi lavora B2C, molto dipenderà dalla sensibilità dei consumatori, rispetto alla specifica categoria di prodotto offerta. Ma il trend sembra ormai chiaro e definito.

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